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Tra intrecci e anniversari, vent’anni fa gli attentati contro gli Usa. Crocco: “L’11 settembre fu l’inizio della fine della breve egemonia di Washington”
Il ventennale degli attentati dell’11 settembre 2001 risulta utile per comprendere il mondo in cui viviamo. Dalla guerra al terrore all’invasione di luoghi lontani e sconosciuti, dall’instabilità creata dagli interventi militari ad un’egemonia, quella di Washington, naufragata fra la polvere afghana. Il giornalista Raffaele Crocco: “Gli Usa si sono dimostrati un gigante dai piedi d’argilla”

TRENTO. “L’11 settembre fu l’inizio della fine dell’egemonia statunitense. Il paradosso della storia sta proprio in questo”. È netto, nel suo giudizio, il giornalista Raffaele Crocco, direttore responsabile dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo e direttore di Unimondo. Ciò che avvenne quel tragico giorno del 2001 e che scioccò il mondo intero (QUI il racconto) avrebbe avuto conseguenze sulla storia successiva, allungando le sue ombre fino ai giorni nostri.
Gli aerei dirottati dai terroristi di Al Qaida, gli schianti contro le Torri gemelle e il Pentagono, la paura e la rabbia di cui s’impossessò il popolo americano (e non solo), la guerra al terrore scatenata dall’amministrazione neoconservatrice di George W. Bush, le invasioni di Afghanistan ed Iraq, segnarono in rapida sequenza le prime tappe di un percorso gravido di tragiche code. E proprio in questo contesto, si è palesata una realtà inimmaginabile nel mondo del post-Guerra fredda: la potenza vincitrice, la cui egemonia s’era ormai proiettata negli anni a venire – tanto che ci fu chi parlò di “fine della storia” – era vulnerabile.
“L’11 settembre fu ciò che fece muovere verso le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, ciò che portò gli Usa a tentare di mettere radici in una territorio dove mai le avevano avute – prosegue Crocco – hanno dimostrato di non capire le altre parti del mondo, di essere fragili e in declino economico e militare. Gli Usa, in sostanza, si sono dimostrati un gigante dai piedi d’argilla”.
“Ciò risulta particolarmente significativo se pensiamo che nell’estate 2001, sui giornali occidentali, si discuteva delle prospettive imperiali di Washington. L’11 settembre va calato in quel contesto ed è la certificazione di un tentativo fallito di imporre la propria egemonia come principale potenza mondiale. L’idea degli Usa come superpotenza gendarme del mondo fallisce, naufragando nelle guerre in Afghanistan ed Iraq. Fino a quel momento, infatti, l’egemonia era basata sul controllo del mare e delle rotte marittime. Con l’invasione dell’Afghanistan si cerca di imboccare una strada diversa, ma il tentativo finisce per fallire. Ora che le truppe da lì si sono ritirate, Washington dovrà ricominciare una politica d’egemonia che non c’è più, cercando di contrastare la nuova superpotenza, la Cina, ancora sul mare”.
Ci sono diverse coincidenze temporali, anniversari e fatti, che si intrecciano nel racconto degli attentati dell’11 settembre 2001 e delle sue conseguenze. È emblematico, infatti, come il ventennale cada a pochi giorni dall’effettivo ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan, dopo due decenni di guerra. Il fallimento della missione, sancito dal ritorno del regime che s’era voluto abbattere, certifica la fine di un’epoca che si voleva segnata dal marchio a stelle e strisce.
“Va ricordato, nondimeno, che l’Afghanistan non fu invaso per la prima volta dagli Usa e alleati nel 2001 – spiega Crocco – questa non è che una tappa di un processo cominciato nel 1979 con l’invasione sovietica, o, se vogliamo, con il colpo di Stato del 1978. Usa ed Europa, dunque, si sono inserite dopo in un contesto già segnato dall’instabilità. L’Asia centrale, importante raccordo tra Occidente ed Oriente, subì importanti scossoni con la fine dell’Urss e la nascita delle varie repubbliche. L’Afghanistan, quindi, fu area di crisi ben più antica di quelle che si crearono successivamente”.
Oltre all’invasione dell’Afghanistan talebano, responsabile agli occhi di Washington d’aver dato asilo e sostegno al leader di Al Qaida Osama Bin Laden, nel 2003 si aggiunse quella all’Iraq di Saddam Hussein, accusato di appoggiare i terroristi e di produrre armi di distruzione di massa – accuse smentite, successivamente, perfino dai promotori della guerra. Ben diversi furono gli esiti in quest’area del Medio Oriente, dove dall’abbattimento di Saddam si crearono diffuse code di caos e instabilità, fino ai giorni nostri.
“L’Iraq è la dimostrazione dell’ambiguità di Usa ed Europa – incalza il direttore dell’Atlante delle guerre – finché Saddam contrastava l’Iran andava bene, poi, quando risultava fastidioso, lo si è cacciato senza creare una reale alternativa. I Paesi occidentali si sono così imposti con eserciti d’occupazione”.
Nel caos provocato dall’abbattimento del regime baathista iracheno, sono così fioriti alcuni frutti avvelenati. Su tutti quello dell’oltranzismo religioso sunnita, evoluto in forma ancor più radicale in Daesh, conosciuto ai più come Isis o Stato Islamico (QUI un approfondimento). Paradossalmente, la guerra al terrore scatenata in patria e all’estero dagli Stati Uniti, così come la violenza rovesciata dai droni e dagli eserciti di terra sulla popolazione civile, hanno alimentato un’opposizione sempre più intransigente e oscurantista contro l’Occidente, i suoi valori e la sua ipocrisia (palesata soprattutto sul tema dei diritti umani).
“Due sono gli aspetti che emergono rispetto agli effetti della guerra al terrore – continua Crocco – il primo parte da una domanda: perché fino al 1991 non esisteva un terrorismo di matrice islamica mentre poi si è imposto come il più grande nemico? Nessuno di noi, prima di quella data, lo avvertiva come un pericolo. Fino agli anni ’70, il terrorismo palestinese era ad esempio sì di fede islamica ma laico. Poi, all’improvviso, caduto il grande nemico comunista, ne è sorto uno nuovo. Quando l’Islam combatteva il comunismo andava bene e l’Afghanistan rappresenta l’esempio più eclatante. Attorno alla nascita del fondamentalismo islamico, dunque, ci sono ombre che andranno chiarite”.
“Il secondo aspetto, invece, riguarda le modalità con cui combattere il terrorismo. Se non si crea un mondo dove i diritti siano davvero rispettati, l’eguaglianza e la giustizia promosse, la democrazia creata dal basso, il terrorismo prospera. Se gli vengono tolte le ragion d’essere, perde appoggio. Le invasioni di Afghanistan e Iraq dimostrano quanto sia difficile combatterlo schierando eserciti tradizionali”.
Pochi mesi prima dell’11 settembre 2001, Bush e i primi ministri degli altri sette più ricchi ed industrializzati Paesi del mondo, si trovarono a Genova per discutere alcune importanti questioni sul futuro del mondo. Al di fuori della zona rossa in cui vennero blindati i potenti, una massa enorme e variegata di persone opponeva una visione del mondo completamente diversa – sul ventennale del controvertice, sono disponibili degli approfondimenti QUI e QUI. Tra i temi sollevati, per un mondo diverso, c’era anche quello della pace, rimasto alla ribalta dopo gli attacchi decisi contro Afghanistan ed Iraq.
“Del G8 si tendono più ricordare la macelleria, la morte di Carlo e la violazione dei diritti, meno i contenuti – afferma Crocco – partito dall’insurrezione dei contadini maya in Chiapas, quel movimento avrebbe fatto proprie alcune battaglie come quella per la pace che nel 2001, dopo gli attentati, continuò ad essere portata avanti con grande energia. Anche nel nostro Paese. Purtroppo, dopo la fine della guerra in Iraq, è mancato il tentativo di mantenere la coesione ed il movimento è diventato carsico. I social, nondimeno, hanno creato reti che restano forti e creano prospettive anche per il futuro”.
Denso di significati e di coincidenze, dunque, questo ventennale dell’11 settembre racconta molto sul mondo in cui ci troviamo a vivere, impartendo – per chi le volesse cogliere – delle importanti lezioni. In Storia – seppur molto su questi fatti debba ancora depositarsi, prima di poter davvero operare le dovute interpretazioni – le date sono le più evidenti manifestazioni di processi e fenomeni di lunga durata. Ed è curioso, che proprio l’11 settembre, vi sia un’altra ricorrenza che tanto dice sulla contemporaneità: nel 1973, infatti, il legittimo governo di Salvador Allende veniva abbattuto da un golpe militare capitanato da Augusto Pinochet e sostenuto dagli Usa. Per il Cile si apriva così una tragica stagione di sangue, oltre che la violenta imposizione delle dottrine neoliberiste.
“L’11 settembre 2001, indubbiamente, ha avuto un grande impatto emotivo. Quello del ’73, però, ha avuto conseguenze maggiori nella misura in cui ha segnato l’inizio del trionfo del neoliberismo applicato con la violenza. In Italia quei fatti colpirono fortemente l’opinione pubblica, spaventando la sinistra e spingendo il Pci al cosiddetto compromesso storico. Quell’11 settembre, pertanto, modellò il mondo finito proprio nel 2001, in cui gli Stati Uniti si imposero agli occhi del pianeta come il gendarme etico-politico-culturale-economico”, conclude.