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Ragazze ridotte in schiavitù e fatte prostituire con riti voodoo e minacce di morte: al via il processo a Trento con 5 imputati
I legali di tutti e cinque gli imputati hanno chiesto l'ammissione a rito abbreviato. La sentenza è attesa per fine estate

TRENTO. Associazione a delinquere di carattere transnazionale finalizzata alla commissione dei reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone. Queste le pesantissime accuse a cui dovranno rispondere i sei imputati (di cui uno ancora latitante), finiti in carcere nell'operazione 'Justice' conclusasi lo scorso settembre.
Proprio ieri ha preso il via il processo al Tribunale di Trento che vede tra i principali imputati Olivia Atuma, classe 1987 difesa dalle avvocate Matilde Greselin e Marta Schiavo, e Justice Ehorobo, classe 1990, difeso dall'avvocato Nicola Zilio, ritenuti promotori ed organizzatori dell’associazione criminale.
Oltre a questi due, come già detto, al banco degli imputati anche altre tre soggetti per il ruolo che hanno avuto finalizzato a portare avanti l'attività deliquenziale.
L'operazione “Justice” aveva coinvolto la polizia giudiziaria della Procura della Repubblica di Trento e la Polizia francese, oltre che le squadre mobili di Trento, Bologna, Bolzano, Viterbo e il Commissariato della polizia Merano.
Le indagini erano iniziate nel 2016, aveva spiegato al termine delle operazioni Salvatore Ascione, comandante della squadra mobile di Trento, quando una giovane nigeriana si recò in Questura a Bologna per raccontare la sua drammatica esperienza del viaggio clandestino verso l’Italia. Nel corso della sua testimonianza la donna ha spiegato agli investigatori le modalità di reclutamento in patria delle giovani e ignare donne, il trasferimento in Libia, il viaggio verso l’Italia e infine l'approdo in Francia.
Un racconto fatto di atteggiamenti violenti e intimidatori degli aguzzini, comprese le costanti minacce di morte ma non solo. Le ragazze, da quanto risulta dalle indagini portate avanti dalla polizia, tutte tra i 20 e i 30 anni, venivano reclutate in Nigeria con la falsa promessa di un lavoro in Europa, intimorite e venivano sottoposte a rito voodoo (ju-ju), in modo che fossero vincolate al pagamento del debito, circa 30 mila euro per coprire le spese di viaggio per raggiungere l'Italia.
"Per liberarsi da questa condizione di schiavitù – aveva evidenziato il comandante Paolo Grossi - erano costrette a prostituirsi fino al totale pagamento del debito contratto per il trasporto in Italia”.
Le condotte di prostituzione, da quanto è stato appurato nelle indagini, non si sarebbero svolte in regione e nemmeno in Italia ma bensì all'estero.
A costituirsi parte civile del processo è stata una delle giovani vittime, una ragazza nigeriana, che è riuscita ad avere il coraggio per denunciare tutto quello che stava accadendo. Non verrà, quindi, ascoltato alcun testimone ma il processo verterà solamente sugli atti dell'indagine.
Per questo genere di reati le pene che si rischiano sono altissime e possono arrivare fino a 20 anni di carcere. La discussione del processo e le sentenze finali sono attese a fine estate.