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Una fascia al braccio per ricordare Prijedor e tutte quelle guerre che non sono ancora diventate pace
Tanti, in cerchio, in silenzio. Al microfono l'elenco dei nomi dei 102 bambini non-serbi uccisi dai serbi. "Volgiamo guardare anche a tutte le situazioni di post-conflitto, per un superamento e una riconciliazione, per poter dire, un giorno, basta guerra"

TRENTO. Tutti in cerchio, ognuno con una fascia bianca avvolta al braccio, in silenzio davanti all'entrata di palazzo Thun dove ha sede il Consiglio comunale. Così come fece, il 31 maggio di qualche anno fa, Emir Hodžić. Si legò al braccio una fascia bianca e si mise, solo, in piedi, zitto, nella piazza del municipio.
Voleva protestare contro l’assordante silenzio delle autorità di Prijedor per quello che era accaduto il 31 maggio del 1992 quando le autorità serbe obbligarono tutti i cittadini non-serbi a mettere uno straccio al braccio quando si trovavano all'esterno, e un lenzuolo appeso alla finestra, per poterli riconoscere.
Di lì a poco 31.000 civili di Prijedor che non erano serbo–ortodossi vennero rinchiusi nei lager: 53.000 persone furono vittime di persecuzione e deportazione. Quelli uccisi furono 3.173. I bambini uccisi 102. E non a caso, oggi, sono stati 120 secondi di silenzio, rotti successivamente dai nomi scanditi al microfono dagli scout del Gardolo1.
L'iniziativa, che si è svolta in tante altre città nel mondo in contemporanea, è stato organizzato dalla collaborazione tra l'Associazione 46° Parallelo, il Forum Trentino per la pace e i diritti umani, l'Associazione Trentino con i Balcani Onlus e l'Associazione Progetto Prijedor, a cui hanno aderito tante altre realtà.
"L'iniziativa parte da Prijedor, in Bosnia - spiega Massimiliano Pilati del Forum per la Pace - per quello che è successo negli anni '90. Ma non solo a Prijedor, dopo tutti i conflitti non si è mai riusciti a ragionare completamente sulle cause della guerra e su come superarle".
"E' giusto ricordare Prijedor - continua Pilati - anche per le tante associazioni trentine che lì hanno lavorato e lavorano, ma volgiamo guardare anche a tutte le situazioni di post-conflitto, per un superamento e una riconciliazione, per poter dire, un giorno, basta guerra".
Raffaele Crocco, direttore dell'Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, spiega che "di ogni luogo dove la pace non è arrivata, di quella mancata pace siamo responsabili anche noi". Perché la pace "è' qualcosa che si costruisce, non è un automatismo e non è nemmeno legata semplicemente alla fine della guerra".
"Si costruisce attraverso la riconciliazione, attraverso una rilettura condivisa. Questi 102 bambini elencati uno ad uno - spiega - sono l'esempio di una mancata riconciliazione. Vittime a Priujedor della guerra che i serbi hanno fatto ai non serbi. Serbi che oggi non vogliono ricordare, che non vogliono costruire una memoria condivisa".
Ma la memoria di Prijedor è collettiva: solo molte le città che oggi vogliono ricordare, e Trento è tra queste. E in particolare a Trento - sottolinea Crocco - vuole diventare ancora più collettiva, per ricordare tutte quelle guerre finite che non sono ancora diventate pace".