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Cannabis Light, i produttori: ''Chiediamo norme chiare''. Intanto in Trentino ci si organizza per un consorzio

Dopo la sentenza della Corte di Cassazione il settore della Cannabis Light chiede a voce alta una normativa di riferimento. Intanto si sta pensando a creare un organismo che possa unire i produttori oltre a fare formazione e informazione. A settembre il primo incontro per capire che strada seguire 

Pubblicato il - 21 agosto 2019 - 20:03

TRENTO. E' stata una vera propria doccia gelata la sentenza della Corte di Cassazione che è stata deposita nel luglio scorso in merito alla cosiddetta “cannabis light”. Una sentenza che da alcuni fin dalle anticipazioni è stata male interpretata arrecando danni e facendo piombare ancora più della confusione un settore come quello dei negozi che vendono la marijuana legale (con un principio attivo di Thc inferiore allo 0.6%) che da tempo chiede una norma certa per essere regolarizzato.

 

A circa due mesi di distanza la situazione non è stata risolta e a farne le spese sono ancora una volta molti giovani imprenditori che hanno investito soldi e forze.

 

In Trentino, però, qualcosa si sta muovendo. In attesa che si arrivi ad un chiarimento, ad un norma che metta un punto fermo per questo settore, le tante attività di cannabis legale si stanno organizzato per fare fronte comune, per chiedere una regolamentazione certa e per offrire allo stesso tempo maggiore sicurezza per i propri clienti.

 

A luglio sono state depositate le motivazioni della Corte di Cassazione. I giudici hanno scritto che “La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa light e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002”.

 

Gli unici prodotti che si possono ottenere, vendere e comprare sono quindi “alimenti e cosmetici, semilavorati come fibra, canapulo, polveri, cippato, olio carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, il materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati, le coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati o destinate al florovivaismo”.

 

Parole precise che però introducono anche ad un certo punto della discrezionalità visto che, sempre nella sentenza, “si impone l’effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all’attitudine delle sostanze a produrre effetti psicotropi”. Questo cosa significa? In parole semplici che il magistrato chiamato a prendere una decisione su un caso deve prima valutare l'efficacia drogante dei prodotti. Questo potrebbe portare al sequestro di una parte della merce con il conseguente blocco. Fino ad oggi, però il business della cannabis light si è basato su un aspetto: il prodotto venduto contiene una percentuale di Thc, il principio drogante, inferiore allo 0,5%. Valore questo consentito dalla legge ma che non considera la Cassazione.

 

Insomma, ci si trova in una sorta di limbo dal quale le aziende chiedono di uscire con una normativa certa. In Trentino tra le società che nell'ultimo anno hanno avuto un successo concreto nel settore c'è “Cime di Montagna” (QUI L'ARTICOLO). Un'attività partita appena un anno fa e che oggi conta oltre 50 rivenditori anche al di fuori dei confine provinciale e che a breve metterà in campo altre piccole novità. “Da quando siamo nati – ha spiegato Andrea Cavattoni – abbiamo avuto un aumento continuo di clienti. Certamente i messaggi di chi ha interpretato in maniera sbagliata la sentenza della Cassazione dello scorso luglio  ci hanno danneggiato enormemente. In tanti si sono spaventati senza motivo anche perché in alcuni casi l'informazione veicolata è stata fatta senza capire cosa diceva realmente la sentenza”.

 

La produzione di “Cime di Montagna” si basa su due prodotti: “BondonHaze” richiamando chiaramente la montagna di Trento e utilizzando una varietà “Carmagnola” e il secondo è “Caleasyo” con l'uso, questa volta, di una varietà autofiorente la “Finola”.Il tutto messo poi in vendita in confezione da 2, 3 o 4 grammi. Le coltivazioni vengono fatto su due terreni a Mattarello, entrambi recintati e iper controllati. “Quello che noi vogliamo – ha spiegato a ildolomiti.it Cavattoni – è una norma perchè va anche avantaggio di tutti. Fare del terrorismo diffondendo da parte di alcuni una informazione sbagliata non serve a nulla”

 

E dal Trentino si sta muovendo anche l'idea di creare una sorta di “associazione di categoria” che possa in qualche modo fare massa critica per collaborare con altre associazioni e altri enti di ricerca. L'associazione si chiama “La Canapa Ci Unisce” ed ha già messo radici in diverse regioni italiane. In Trentino i due soci fondatori sono “Dolomitigrow” e “Azienda Agricola Poli”.

 

“A livello nazionale – ha spiegato Andrea Calliari uno dei fautori dell'associazione – manca una noma chiara per la commercializzazione del prodotto ed è proprio questo che noi chiediamo”. “La Canapa ci Unisce” nasce chiarisce Calliari “con l'obiettivo finale di creare una sorta di consorzio capace di creare interazioni con altre associazioni ma anche il mondo della ricerca. Vogliamo che ci siano momenti di formazione e informazione e allo stesso tempo unendoci potremmo avere maggiore voce per chiedere finalmente norme certe”.

 

Un progetto ambizioso, insomma, che in Trentino vedrà un primo incontro tra i possibili aderenti nel mese di settembre per capire quale strada seguire.

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