Il ddl Leonardi apre le porte della scuola a Schützen e associazioni d'armi. Antonelli: "Un pastrocchio di tipo autoritario"
Nella giornata di giovedì 14 gennaio il Consiglio provinciale ha approvato il ddl Leonardi con cui la Pat riconosce alle associazioni d'armi e combattentistiche (compresi gli Schützen) una "funzione sociale, culturale ed educativa", affidando il compito di diffondere la cultura della legalità e la conoscenza della storia locale nelle scuole. Lo storico Quinto Antonelli: "Legge scritta male e ambigua. Si vuole dare un pubblico a chi non ce l'ha"

TRENTO. “Una prima lettura di questo documento suscita una grande malinconia. La scuola viene considerata come un contenitore capace di accettare tutto. In base a cosa, tra l'altro, le associazioni d'arma e combattentistiche avrebbero delle competenze storiche e pedagogiche?”. Commenta così, lo storico Quinto Antonelli, il ddl 23 approvato nella giornata di giovedì 14 gennaio, con cui la Provincia riconosce alle associazioni d'arma, a quelle combattentistiche e a quelle delle forze dell'ordine una “funzione sociale, culturale ed educativa”, affidando un ruolo nella “diffusione della cultura della legalità”, nella “conoscenza della storia nazionale, locale e delle istituzioni autonomistiche” e nella “prevenzione dei rischi delle dipendenze”.
Approvato con 28 voti a favore e 6 astenuti, il documento (numero 23 del luglio 2019), promosso dal consigliere di Forza Italia Giorgio Leonardi apre le porte della scuola a queste associazioni creando, come si legge nel resoconto della seduta, “un ponte tra società civile e società militare”. Tenendo conto, si legge sempre nel giornale del Consiglio, della venuta meno dell'obbligatorietà del servizio militare, a detta del promotore tale misura permetterà alle associazioni di “stimolare il senso di appartenenza alla nazione e la responsabilità di servire la comunità contrastando l'attuale crisi morale di cui soffre la nostra società”.
Ma di quali associazioni stiamo parlando? Dalle legge non appare chiaro a quante e quali associazioni si apra questa misura, tanto che nella discussione, su iniziativa dell'ex governatore e capogruppo del Patt Ugo Rossi si è perfino deciso di includere la Federazione degli Schützen del Welschtirol, associazione non di tipo combattentistico ma folcloristico-culturale che, come si può leggere nel sito ufficiale, nasce “legata all'Heimat, tesa alla preservazione delle antiche tradizioni e fedele al credo dei nostri padri”.
Una veloce lettura del documento (disponibile in calce all'articolo) fa sorgere nondimeno più di qualche perplessità. E' infatti proprio di queste associazioni farsi carico di tali funzioni in ambito scolastico? Lo storico Quinto Antonelli nutre dei dubbi. “Leggendo il documento vengono in mente diverse considerazioni – esordisce – innanzitutto una di tipo formale. È un documento scritto male, tutt'altro che chiaro, ambiguo. Certe frasi non stanno in piedi. Si guardi il paragrafo 2 del punto 3, in cui si dice 'la Provincia promuove il coinvolgimento delle associazioni d'arma e combattentistiche e delle associazioni delle forze dell'ordine operanti sul territorio provinciale ad incontri formativi, anche afferenti all'educazione permanente, allo scopo di diffondere la cultura della legalità, della sicurezza e delle cittadinanza responsabile, di far conoscere la storia nazionale e locale, anche allo scopo di prevenire i rischi da dipendenza'”.
“Il giro della frase è un po' demenziale, dimostra una certa sciatteria – prosegue – nell'articolo 2, invece, si dice che la Provincia voglia promuovere il coinvolgimento di queste associazioni per ridurre i 'fenomeni di illegalità e di inciviltà'. Ma cos'è l'inciviltà? Cosa significa? E' decodificata per legge? Come seconda osservazione, invece, mi chiedo quali associazioni vengano coinvolte. Gli Schützen sono infatti un'associazione d'armi? Non sono un'associazione folcloristica o culturale? Anche in questo caso, regna l'imprecisione e l'indefinito”.
In generale, a lasciare perplessi sono le competenze riconosciute a tali associazioni, proprie più di chi si occupa di educazione, pedagogia e divulgazione che di gruppi accomunati da un'esperienza d'armi o da determinati valori. “Da dove viene la missione che questa legge riconosce alle associazioni d'armi, combattentistiche, alle forze dell'ordine o alle forze armate? - incalza Antonelli – perché si riconosce loro una speciale capacità di comunicazione e informazione anche riguardo alla conoscenza storica, del patrimonio culturale e così via? Da quando avrebbero queste competenze? È curioso, perché qui non si parla di associazioni culturali o di musei, che hanno tra le proprie finalità proprio quella di comunicare e informare la conoscenza nelle scuole, ma di associazioni che non necessariamente hanno delle competenze storiche. È un passaggio illogico”.
Ammantate di professionalità non loro, le associazioni si trovano così a entrare nelle scuole, senza che le scuole stesse abbiano voce in capitolo. “Lo scopo di questa legge pare sia di far entrare questo mondo nella scuola con altri compiti dai propri, sovrapponendosi con il settore culturale. La scuola viene così considerata un contenitore capace di accettare tutto – prosegue – l'impressione è che invece si voglia dare un pubblico a chi non ce l'ha. Gli adulti non sono interessati e allora diamo loro un pubblico precettato. La considerazione della scuola che ne esce è di un luogo che si possa frequentare anche senza particolari competenze né storiche né pedagogiche. Queste associazioni possono così entrare a scuola portando senza filtri il proprio messaggio. Ma dove stanno gli insegnanti?”.
Degli insegnanti, nel ddl, non si vede traccia. “Il soggetto in questa legge non è la scuola, bensì le associazioni – spiega Antonelli – non è sbagliato che queste entrino nelle scuole, ma le loro proposte devono passare all'interno dei programmi e attraverso i filtri degli insegnanti, che ne valutano le finalità pedagogiche. La scuola è un ambito autonomo che non sottostà alla politica. Questo ddl, invece, ha dei caratteri di tipo autoritario, ispirandosi a un clima culturale che stiamo vivendo. Come si fa a mescolare legalità e cultura, a parlare di inciviltà e di storia? Servono maggior ordine, cura e esattezza nelle definizioni, questo invece è solo un pastrocchio”.
Così come degli insegnanti, anche di storici, studiosi ed enti culturali non se ne vede traccia. Le competenze conquistate sul campo, con anni di studio, vengono invece riconosciute a chi non le ha, ridefinendo il ruolo secondo una logica dalla ratio incomprensibile. “Il fatto che non si specifichino le associazioni apre ad altre riflessioni. Sono gli Schützen, ad esempio, un'associazione d'arma? Sono equiparabili agli alpini, ai deportati politici o all'Anpi? Lo dubito, visto che si sono sempre considerati come un gruppo folcloristico e culturale”.
Come avvenuto a ridosso dell'Adunata degli alpini del 2018, quando un incontro degli Schützen della compagnia di Vallarsa-Trambileno con i bambini di una scuola elementare di Rovereto per illustrare i costumi tipici avevano sollevato un vespaio, anche in questo caso la possibile apertura delle porte delle strutture scolastiche a gruppi come i cappelli piumati porrebbe non pochi problemi. Quale sarebbe infatti la storia locale che tali gruppi approfondirebbero con gli alunni?
Come noto, infatti, gli Schützen centrano un punto sensibile come la scarsa presenza della storia locale nelle scuole, affermando però come questa sia dovuta alla volontà dello Stato italiano di cancellare la vera storia dei Trentini – la manifestazione dello scorso 10 ottobre, quando in Piazza Duomo è stata portata per la prima volta la “corona di spine” simbolo del dolore dei Tirolesi, aveva proprio lo scopo di “fa conoscere la nostra storia”.
“La presenza della storia locale a scuola non è certo una questione nuova, ma sollecitata già dopo il 1968 e il rinnovamento del comparto effettuato negli anni '70 – spiega Antonelli – con la rivista Materiali di lavoro, fondata nel '78 a Rovereto, ce ne siamo occupati in maniera specifica, proponendo tante riflessioni e arrivando alla conclusione che la storia locale non possa essere sconnessa da quella nazionale e da quella internazionale. È difficile dunque parlare di storia locale perché bisogna tirare dei fili da qui al fuori. A tale questione complicata, gruppi come gli Schützen danno una risposta semplice”.
“Ma quante ore, in realtà, si dedicano alla storia a scuola? - conclude – quante ore ci sono a disposizione? Ha più senso fare la storia della cooperativa di Rovereto o le grandi campate storiche? C'è dialettica tra la storia locale e quella generale, ma non ha senso che gli alunni escano dal loro percorso scolastico senza aver presente i grandi scenari. La storia locale, dunque, non ne è che la declinazione”.