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Pazienti al Pronto soccorso (o su Google) perché ''liquidati'' dai medici al telefono? Ioppi: ''I giovani sono pochi e sovraccarichi ma va recuperato il rapporto coi cittadini''
Il presidente dell'Ordine dei medici, Marco Ioppi: "Dopo questo ultimo anno e mezzo c'è da recuperare il rapporto tra cittadino e medico di medicina generale. La telemedicina non può essere il metodo standard perché la prima cura di un paziente passa necessariamente dalla prossimità"

TRENTO. A quanti è capitato negli ultimi tempi di essere ''liquidati'' dal medico di base con una telefonata un po' approssimativa dove chiede sintomi e condizioni di salute e consiglia qualche farmaco? Oppure, ancora peggio, a quanti è capitato che tutto si risolva con un ''guardi il mio orario di visita è dalle .. alle .., passi nei prossimi giorni se ha voglia e si sente ancora così''. A chi vi scrive è capitato, così come è capitato anche ad alcuni lettori (in qualche caso con conseguenze piuttosto gravi e patologie poi scoperte al Pronto Soccorso che finisce per essere la soluzione per tutto: ''Sto male, nessuno mi fila allora vado all'Ospedale almeno per farmi visitare'') che ci hanno sollecitato sull'argomento.
Da un lato, quindi, medici giovani che sembra abbiano la direttiva di scansare il più possibile i pazienti i quali finiscono, poi, per arrangiarsi tra telemedicina, Pronto Soccorso e Google, quando va peggio. E dall'altro lato, invece, il ricordo nostalgico di quei medici di base che andavano a casa a visitare chi stava male praticamente a qualsiasi ora del giorno (e in molti casi anche della notte), che erano il primo presidio sanitario del sistema sanitario nazionale, che curavano (ma per curare bisogna incontrare il paziente quando sta male) e solo a mali estremi ''scaricavano'' sull'ospedale per ulteriori visite e controlli.
Per fare chiarezza abbiamo chiesto al presidente dell'Ordine dei Medici del Trentino Marco Ioppi se queste sono solo sensazioni personali, magari legate a qualche isolato caso di sfortuna, o se il problema esiste e, in qualche modo lo si sta pensando di affrontare. E il presidente dell'ordine spiega che non si tratta solo di sensazioni. Innanzitutto da quando c'è il Covid quello di incontrare solo se necessario i pazienti è stata una vera e propria direttiva. "Le autorità - racconta - avevano raccomandato, tramite decreto, di seguire le linee guida e di ridurre le visite, in particolare in presenza di un paziente con sintomi sospetti, un modo per ridurre un'eventuale circolazione del virus. Da qui la decisione di prevedere l'attivazione delle unità Usca per cure domiciliari. Ora molti professionisti proseguono lungo questa direttrice, ma è d'obbligo un riavvicinamento tra medico e cittadino".
E così ecco sdoganate le ''diagnosi'' via telefono con il rischio che i cittadini facciano sempre meno affidamento sui medici di base e tentino di ''arrangiarsi'' magari con internet e soluzioni 'fai da te'. "Dopo questo ultimo anno e mezzo c'è da recuperare il rapporto tra cittadino e medico di medicina generale - dice Ioppi -. La telemedicina non può essere il metodo standard perché la prima cura di un paziente passa necessariamente dalla prossimità e oltretutto deontologicamente non ci possono essere prescrizioni senza visite. Ma quella dei medici di base è un'emergenza nell'emergenza; la sanità, però, è un bene da salvaguardare e un collante sociale: se funziona, allora funziona anche la società. Oggi il settore si deve basare ancora di più sui tre cardini di preparazione, di valorizzazione e di affezione".
"Da un lato - prosegue Ioppi - c'è meno solidarietà: ognuno pensa a sé stesso e cerca aiuto solo nel bisogno. La soglia del dolore è soggettiva ma l'asticella è scesa rispetto alle generazioni dei nostri nonni, abituati quasi culturalmente a soffrire. Dall'altro lato le esigenze sono rimaste le medesime: un paziente deve essere seguito e rassicurato, curato e assistito. Se questo non avviene si spezza il rapporto fiduciario, ci si rifugia in Google con tutti i rischi connessi o ci si rivolge direttamente al pronto soccorso oppure al privato. E' molto difficile trovare un equilibrio, però il pubblico deve continuare a controllare la sanità: può affidare branche specializzate, come il settore della riabilitazione, ma non può abdicare al ruolo di guida e di indirizzo".
Una forte preoccupazione è quella della previsione dei pensionamenti dei medici di base nel prossimo quinquennio. "Già adesso molte zone del Trentino sono scoperte. Molti professionisti lasciano, altri sono in procinto di terminare la carriera oppure sono già usciti dal mondo del lavoro. Questo porta a mandare avanti i giovani, che però non hanno ancora la necessaria formazione oppure esperienza: sono travolti da una mole di lavoro complesso, c'è un sovraccarico di responsabilità e impegno e si rischia di perdere anche le nuove forze che mostrano segnali di frustrazione: nonostante la passione e gli sforzi di anni e anni di studio, molti già lasciano per la pressione".
L'emergenza sanitaria in linea generale ha evidenziato ancor di più la carenza di professionisti. Un medico di medicina generale oggi segue 1.500 pazienti, i tetti massimi sono già stati aumentati e si va verso un ulteriore aggravio. "E' urgente una pianificazione e una programmazione attenta, una visione che sappia guardare lontano. Per esempio, queste figure dovrebbero associarsi per condividere gli ambulatori, le incombenze burocratiche e la gestione della segreteria: non si parla solo di una visita perché si devono compilare le carte, rispondere a e-mail e telefonate, messaggi e Whatsapp. La pressione è evidentemente enorme e il sistema già adesso è in affanno senza avere soluzioni e risposte: oggi circa il 40% delle persone ha 1 o più patologie. La complessità è aumentata rispetto al passato".
I bisogni sono cambiati e il quadro presenta notevoli criticità: l'aumento dell'età media della popolazione e dell'aspettativa di vita che rende le cure e i quadri clinici ancora più complessi e delicati. "La medicina non può essere semplificata, non può essere un settore puramente amministrativo che si avvale di protocolli da rispettare. C'è un ritorno dei pazienti acuti e cronici, ci sono situazioni di coma e semi-coma da gestire nelle case. Si deve aumentare la prossimità, ci si deve avvicinare alle persone che soffrono con il medico domiciliare. La sanità non possono essere numeri e quantità quanto deve essere sinonimo di qualità nelle cure".
Il Covid-19 ha messo messo in evidenza tutta la fragilità e, in alcuni casi, anche l'anacronismo di alcuni settori. L'emergenza sanitaria ha evidenziato inoltre l'importanza strategica di aree come il benessere bio-psico-fisico oppure il volontariato operativo nel mondo della sanità.
"Paghiamo un'organizzazione miope degli ultimi 20 anni - conclude Ioppi -. Il Pnrr non aggiunge risorse al sistema sanitario, semplicemente rimette in equilibrio un sistema oggetto di tagli strutturali. E' necessario sviluppare una sanità moderna e innovativa. Ma siamo arrivati al punto che non può farlo la politica o i tecnici da soli: serve un patto sociale tra medici, cittadini e istituzioni. Credo, per esempio, che si debba rivedere la struttura delle Rsa. Pur nella buona gestione, questa emergenza ha messo allo scoperto una forma disumana con cui la nostra società gestisce gli anziani, i servizi socio-assistenziali non sono attrezzati per diventare di tipo ospedaliero in senso stretto per assomigliare a moderni ghetti o lazzaretti che hanno pagato un prezzo altissimo in questa epidemia".