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''Sistema obsoleto e servono ambulatori multidisciplinari per trattare i bisogni'', l'allarme dei medici di base: ''I giovani scappano per il rischio burnout''
Leonardo Polizzi, giovane medico di medicina generale a Rovereto: "Il decreto Calabria forse peggiora ulteriormente le criticità: la toppa è peggio del buco. Prima dell’arrivo della facoltà gli studenti della Scuola di formazione in medicina generale avevano priorità nei bandi per le graduatorie di selezione. Adesso è stata tolta e la coperta è corta da entrambe le parti"

TRENTO. "Siamo ai limiti". A dirlo Leonardo Polizzi, giovane medico di medicina generale, laureato a Firenze e operativo tra Veneto e Trentino come guardia medica prima di entrare in servizio nel 2019 a Rovereto. "Non solo per la mole di lavoro di tipo clinico-sanitario, per il quale ci siamo preparati e abbiamo studiato con passione quanto per tutte quelle attività di stampo manageriale che non rientra nel nostro bagaglio di competenze: incombenze che richiedono tempo e precisione. E' necessario abbandonare l'attuale modello e riuscire a strutturare un'organizzazione più moderna. Ma l'Apss e la politica non sembrano andare in questa direzione".
Quella dei medici di base è un'attività che rappresenta il primo presidio sanitario. Ma questi professionisti sono sempre meno e con un'età media sempre più alta. I bisogni sono cambiati e il quadro presenta più criticità rispetto al passato, spesso aspetti legati all'aumento dell'età media della popolazione e dell'aspettativa di vita che rende le cure e i quadri clinici ancora più complessi e delicati. A Il Dolomiti Stefano Bosetti, operativo a Trento dal 1993, ha parlato della necessità di un Dipartimento delle cure primarie (Qui articolo).
"L'organizzazione è piuttosto sottovalutata da parte delle autorità. Oggi - dice Polizzi - le richieste che riceviamo spesso non riguardano la sfera delle attività prestazionali. E' fondamentale costruire dei percorsi di servizio e riuscire a lavorare in equipe. C'è un incentivo da parte dell'Apss per prevedere una segreteria per seguire gli aspetti burocratici ma non si riesce a coprire totalmente i costi. E anche se i medici in libera professione si associano, difficile economicamente chiudere il cerchio. Inoltre c'è poca chiarezza sul ruolo e sulla funzione di un medico di base: 8 cittadini su 10 forniscono una risposta diversa sulla nostra professionalità e per questo servirebbe un intervento per definire i nostri compiti".
Un comparto messo ulteriormente sotto pressione dall'emergenza Covid. Tantissime le telefonate sui sintomi prima e ora soprattutto sui vaccini. "I danni del lockdown sono enormi: alcuni pazienti - prosegue - hanno paura a uscire di casa, le criticità si sono acuite. E' un prezzo che si pagherà per molto tempo. Stesso discorso per le varie limitazioni che hanno portato a cambiare le abitudini improvvisamente. Ma la situazione attuale richiede un passo in avanti, un ambulatorio multidisciplinare: oltre ai medici, sono necessarie figure professionali fondamentali quali gli infermieri per le questioni più strettamente sanitarie, gli operatori socio-sanitarie per determinate cure, uno psicologo e uno psichiatra di comunità. L'Apss e la politica dovrebbero investire in questo senso e accompagnarci lungo questa direzione. Ma, purtroppo, non sembra esserci la volontà".
Sembra si stia verificando inoltre una sorta di scollamento tra paziente e professionista, con ricadute che si riflettono innanzitutto sulla gestione dei codici bianchi al pronto soccorso dell'ospedale e, quando va peggio, sulle problematiche causate dalle ricerche su Google (Qui articolo). Tanti ricordano quando il medico di famiglia si recava direttamente nelle abitazioni.
"La visita domiciliare - continua Polizzi - è quasi insostenibile oggi. Una volta c'era molta più offerta e molti meno pazienti da seguire per ogni medico. Attualmente siamo saturi e diventa veramente difficile rispondere a tutte le richieste. I bisogni sono cambiati, la sofferenza viene, giustamente, sopportata molto meno rispetto al passato. Inoltre c'è la pretesa del tutto e subito. Magari una persona telefona perché da 2 mesi avverte un fastidio ma chiama per la prima volta; il quadro clinico viene chiarito e si fissa un appuntamento a 48 di distanza: il medico si prende la responsabilità ma il paziente sbuffa. Il rapporto di fiducia deve essere reciproco, instaurare la relazione non è un problema, riuscire a mantenerla è l'aspetto più critico con il rischio di frustrazione per entrambe le parti. Non ci sono praticamente filtri e si cerca di rispondere tempestivamente a tutte le esigenze, ma ormai la situazione è satura: questo comporta un altissimo rischio di burnout e diventa impensabile poter sostenere questi ritmi, se un professionista comunque non rispetta i riposi può causare un disservizio".
C'è, poi, una fortissima preoccupazione per le previsioni di pensionamento di numerosi altri medici di medicina generale nei prossimi 5 anni. Molte zone sono già scoperte e in alcuni casi si cerca di sopperire prolungando il servizio. Si interpreta la missione anche oltre il proprio dovere. Il Comune di Brentonico, per esempio, a nome di tutta la comunità ha ringraziato pubblicamente l'apprezzatissimo dottor Mauro Dalpiaz per avere deciso di continuare per altri tre mesi.
"C'è una carenza di professionisti. E il decreto Calabria forse peggiora ulteriormente le criticità: la toppa è peggio del buco. Questa misura può essere stata utile nel breve periodo ma rischia in realtà di allontanare i giovani da questa professione nel futuro. Un diplomando può entrare in servizio e intanto studiare: arriva, percepisce le difficoltà, segue circa 800 pazienti e non ha abbastanza tempo per seguire i corsi e le lezioni. E magari decide pure di cambiare percorso di specialità, questo è un trend abbastanza consolidato: se una volta accadeva molto raramente, oggi invece è un atteggiamento quasi strutturale e tanti colleghi cercano un'alternativa diversa".
Negli ultimi anni il tetto massimo è stato ritoccato al rialzo e oggi un medico di base segue 1.500 pazienti. C'è la possibilità che ci sia un ulteriore aumento per riuscire a parare il colpo dell'assenza di professionisti. Intanto la scuola di medicina di Trento dovrebbe sfornare i prossimi specialisti da distribuire sul territorio provincia, ma la formazione richiede ancora diversi anni e intanto un comparto già in difficoltà rischia di finire ancora più in affanno.
"La carenza di professionisti è abbastanza trasversale e ormai strutturale. Molti medici che si apprestano a entrare in servizio si limitano tramite una deroga a meno di 1.400 pazienti per paura di non avere risorse psicofisiche.
Un'altra figura professionale come i medici della continuità assistenziale (le guardie mediche) è merce rara. "Ad Ala è stata recentemente chiusa una sede e messa in carico ai colleghi dei Rovereto già oberati. Prima dell’arrivo della facoltà i discenti della Scuola di formazione in medicina generale (una specie di specializzazione a gestione provinciale sotto la supervisione dell’Ordine dei medici) avevano priorità nei bandi per le graduatorie di selezione: tra l’altro questa professione è sempre stato un buon banco di prova nella gestione del paziente e delle criticità; un'esperienza che permette di conoscere il territorio e di misurarsi sul campo. Inoltre consente di sopperire alla mancanza di medici in continuità assistenziale. Questa possibilità è stata, però, tolta e questa scelta non è stata molto lungimirante perché adesso la coperta è corta in entrambe le direzioni", conclude Polizzi.